La realizzazione del parco archeologico della villa imperiale di Anzio ha offerto
l’occasione di avviare una rilettura critica dell’intero complesso con l’obiettivo di verificarne lo sviluppo edilizio e di ricostruire lo schema architettonico delle diverse fasi. Ovviamente, tale messa a punto si è basata sull’analisi dei resti conservati nell’area monumentale del prospetto a mare, rimanendo del tutto sconosciuta l’estensione e l’articolazione delle pertinenze verso l’entroterra.
Partendo dall’analisi di dettaglio delle strutture murarie ed utilizzando la preziosa messe di documenti d’archivio relativa agli scavi ottocenteschi e del primo Novecento, è stato così possibile ridisegnare uno sviluppo dell’impianto diverso e (credo) più convincente rispetto a quello definito da V. Santamaria Scrinari, autrice dell’unico lavoro di sintesi tuttora disponibile sul complesso della villa
imperiale. Per maggiore chiarezza, riassumo per grandi linee le fasi proposte dalla Scrinari. Le fasi I-II sono relative agli impianti di età repubblicana e rimangono al di fuori della presente trattazione. La fase III, di età augustea (o tiberiana), prevede la regolarizzazione verso mare della falesia di arenaria mediante una sostruzione a nicchie contrapposte in opera reticolata, corda ideale di un grandioso
“belvedere” curvilineo, anch’esso in opera reticolata. Nel corso della fase IV, la struttura curvilinea viene inserita in uno schema di strutture ortogonali in opera reticolata “con ricorsi di mattoni” che disegnano una serie di ambienti riferiti ad età neroniana. La fase V, attribuita all’età domizianea, si caratterizza per gli ampliamenti verso ovest, con la costruzione della cosiddetta biblioteca (in realtà
un ninfeo con funzione di sostruzione) e delle terme. Nella fase VI ulteriori ampliamenti di età adrianea interessano l’area del promontorio dell’Arco Muto. La fase VII vede un generale rifacimento in laterizio del complesso con l’eliminazione della struttura curvilinea, la costruzione di un atrio colonnato verso il porto
e l’inserimento di un grande calidarium nel settore termale (età severiana).
Le nuove osservazioni portano a conclusioni in gran parte diverse, riducendo le fasi edilizie documentate a due soli grandi interventi, di concezione radicalmente differente. Chiave per ridefinire tale seriazione è stata la corretta interpretazione dell’uso dell’opera reticolata nelle strutture del complesso. Le cortine in opera reticolata, infatti, non sono utilizzate nell’elevato di murature riferibili alla prima età imperiale, ma costituiscono un espediente costruttivo rintracciabile in gran parte degli edifici a livello di fondazioni e di sostruzioni.
Appare chiaro, infatti, che nel progetto della grande struttura curvilinea, come in quello degli edifici successivi, era previsto un sensibile rialzamento del piano di calpestio rispetto a quello delle domus di età repubblicana (cm. 90 circa) che vennero man mano rase al suolo fino a livello dei pavimenti. Le fondazioni degli edifici successivi risultano così gettate in cavo libero con scapoli di tufo o arenaria finché sono realizzate in terreni compatti (ad una quota inferiore rispetto ai livelli pavimentali repubblicani) e con cortine in reticolato nella parte superficiale fuori di terra. Analogamente, le opere sostruttive destinate a rimanere
interrate od obliterate da muri di fodera sono realizzate in opera reticolata, in questo caso probabilmente per motivi economici. Chiarito questo aspetto, è dunque possibile attribuire la grande struttura curvilinea ad un elemento architettonico autonomo, svincolato da successive integrazioni con altri schemi. Si tratta probabilmente di un’imponente passeggiata porticata, rivolta a comprendere la linea
di costa, di cui rimangono esclusivamente i resti delle fondazioni in opera reticolata, senza alcuna indicazione sull’elevato; gli sterri del 1931 hanno inoltre eliminato tutte le stratigrafie connesse, compromettendo ogni possibile appiglio per una datazione della struttura, probabilmente inquadrabile tra età tardo repubblicana e prima età imperiale. Appare evidente come una tale struttura, anche se imponente
ed unica nel suo sviluppo curvilineo, costituisca solo un settore secondario rispetto ad un più vasto complesso residenziale, ipoteticamente localizzabile nell’entroterra. Rispetto all’età repubblicana, la costa marina risulta
dunque spogliata della funzione di luogo privilegiato per gli insediamenti residenziali, per essere invece inquadrata in un paesaggio in parte rivalutato ed in parte organizzato mediante l’inserimento di architetture che ben si confrontano con i padiglioni raffigurati nelle vedute di genere pompeiane. In un secondo momento, riferibile all’età tardo antonina e severiana, l’area viene radicalmente trasformata secondo un nuovo schema che tradisce una diversa concezione e una nuova finalità architettonica, in cui appare profondamente mutato anche il rapporto con il paesaggio ed il mare, quasi a voler imporre una presenza dell’uomo grandiosa e
soverchiante. L’area è trasformata in un vero e proprio palazzo che fonda il suo prospetto direttamente nel mare, eliminando ogni tramite ed in un certo senso dominandolo. Si individuano due allineamenti principali lungo i quali si orienta il progetto di questa fase edilizia. Il primo allineamento, nell’area in precedenza occupata dal porticato curvilineo (attuale area del faro di Capo d’Anzio),
si imposta parallelamente alla linea di costa che viene regolarizzata e foderata con possenti sostruzioni in opera reticolata, presupposto per un lungo doppio porticato a mare in parte fondato su palafitte. Il secondo comprende l’area termale e il settore dell’Arco Muto e si imposta parallelamente alla linea di costa occidentale
del promontorio. In entrambi i casi, l’elemento caratterizzante è la volontà di obliterare la parete di questo tratto di falesia prospiciente il mare mediante
costruzioni che si fondano direttamente sulla battigia, al piede della scarpata, dal cosiddetto Semaforo alla radice del porto neroniano, per uno sviluppo lineare complessivo di oltre 700 metri. Il risultato doveva essere simile a quello dei palazzi veneziani, pur trattandosi di un segmento di costa direttamente a contatto
con il mare aperto e privo di difese naturali. La presenza di barriere artificiali in qualche modo simili a quelle messe in opera a difesa della costa in tempi recenti non è documentata o, per quanto ne sappiamo, ipotizzabile. Nel primo settore, quello presso il faro, tutta la costruzione si articola mediante la ripetizione speculare di uno schema che prevede a livello del mare un primo porticato, con ampie aperture, affiancato verso l’interno da un secondo porticato, o meglio da un criptoportico.
Nella parete di fondo del corridoio più interno si aprono due nicchioni6 posti ai lati di un grande vano riscaldato che si sviluppa in lunghezza nello spessore creato dalle sostruzioni che foderano la falesia. L’asse longitudinale di tale ambiente costituisce il fulcro dello schema costruttivo anche al piano superiore,
dove lungo i lati di un cortile rettangolare si fronteggiano due grandi aule speculari, porticate sui lati esterni. Anche in questo caso i due edifici sono incorniciati da due grandi nicchie che prospettano su un lungo ambulacro.
Ai lati delle nicchie si collocano altri due ambienti, con ampia esedra sulla parete di fondo. Ortogonali allo sviluppo degli edifici sono i percorsi, tutti paralleli alla linea di costa: a livello del mare gli accessi si posizionano alle estremità dei porticati, mentre al livello superiore non c’è comunicazione tra le grandi
aule e gli ambienti esterni con esedre, collegati probabilmente solo attraverso l’ambulacro superiore, parallelo anche in questo caso alla linea di costa. Presso l’estremità occidentale dei porticati inferiori, immediatamente prima di un scala che conduceva al livello superiore, la sostruzione si apre verso l’interno a formare
un ninfeo, sfruttando probabilmente un taglio di cava più antico.
Non possediamo elementi sufficienti per definire lo sviluppo in facciata del complesso, ma appare probabile che i porticati a mare sostenessero ulteriori porticati o serie di ambienti, forse digradanti a terrazze, per un elevato
corrispondente almeno ad altri due piani sino a coordinarsi con le strutture dell’attuale livello stradale (aule porticate). Quale sia stata la soluzione, si tratta comunque di una costruzione imponente, di concezione prettamente
palaziale. Nel settore che comprende l’area dell’impianto termale e il promontorio dell’Arco Muto, l’asse su cui si imposta lo sviluppo delle costruzioni è invece quello della linea di costa occidentale, disposta approssimativamente nord-sud. Il punto di cesura tra i due nuclei del complesso è situato in corrispondenza
delle terme, poste alla radice del promontorio nel punto più riparato e con esposizione tutta a sud. L’impianto si sviluppa in altezza per quattro piani, realizzando un’efficiente economia degli spazi pur nella monumentalità
espressa dal grande calidarium. Al livello del mare sono i magazzini e gli impianti di riscaldamento, in gran parte ricavati all’interno della falesia di arenaria; al secondo livello, il calidarium e gli altri ambienti del ciclo termale; al terzo piano, una chiostrina con pavimento a mosaico che fornisce una presa di luce ad
alcuni vani sottostanti; su di essa affacciano gli edifici del quarto livello, corrispondente grosso modo all’attuale piano stradale, dove sono state localizzate di recente una latrina e una vasca riscaldata. Sino ad oggi, permaneva un notevole vuoto di conoscenze sull’articolazione del complesso nella vasta spianata dell’Arco Muto, dove erano stati eseguiti scavi sia nel 1889 (scavi Boccanera), che nel periodo 1929-1933. Da qui provenivano i noti mosaici conservati pulito (scala 1.200) del rilievo complessivo, gli schizzi preparatori di tutti i settori della villa,
disegni annotati con brevi descrizioni dei mosaici e trascrizioni di bolli laterizi.
Grazie all’eccellente qualità dei rilievi del Gatti e ad una ripresa aerea dove si individua l’area scavata, è stato possibile ricollocare la planimetria delle strutture con estrema precisione; un limitato saggio di scavo ha offerto
sicura garanzia dell’esattezza del riposizionamento. Si è così ampliata di circa un terzo la superficie nota della villa nella reale articolazione degli edifici. Inoltre, è stato possibile ricollocare ed integrare, nell’area compresa
tra l’edificio principale e la punta del al Museo Nazionale Romano, ma si era persa
memoria sia dell’esatto punto del ritrovamento che, più in generale, dell’estensione e della natura dei resti rinvenuti. Recentemente, presso l’Archivio Centrale dello Stato, ho potuto rintracciare alcuni documenti rimasti del tutto inediti, che illustrano con precisione la reale entità degli interventi del 1929-1933.
Si tratta di rilievi eseguiti, con estrema dovizia di particolari, da G.Gatti nel 1931, forniti di annotazioni che permettono di ricollocare nella posizione originaria i mosaici attualmente al Museo delle Terme. Nei taccuini del Gatti sono conservati la redazione in promontorio, un rilievo del Lanciani relativo ad un ambiente a pianta circolare con quattro grandi nicchie, affiancato ad un vano quadrato, probabilmente riscaldato. Documentata anche l’esatta collocazione di
strutture con pavimenti a mosaico poste sul ciglio della falesia e ormai in parte crollate in mare. Dei mosaici rinvenuti, uno fu rimosso e trasportato al Museo delle Terme, altri due lasciati in situ; essendosi persa ogni traccia della provenienza, essi furono attribuiti alla zona dell’Ospedale militare (area nell’entroterra a ridosso di via Fanciulla d’Anzio). Come ovvio, la planimetria del Gatti, da
sola, non consente di trarre osservazioni conclusive né di cogliere lo sviluppo in fasi delle strutture. I dati disponibili permettono però di stabilire che l’area al centro dell’Arco Muto era occupata da un grande edificio (circa m.100×30), limitato nel senso della lunghezza, verso l’entroterra, da un settore scoperto, forse
un grande cortile porticato o un giardino. Il lato corto, a sud, si raccordava senza soluzione di continuità con il quarto livello delle terme (latrina, vasca riscaldata). L’impianto principale si articola in almeno tre settori. Il primo, a sud, è formato da aule spaziose con pavimenti a mosaico figurato, tra
cui quello con Ercole e Acheloo. Questi vani sembrano formare un nucleo distinto,
separato dal resto della costruzione, dal quale si accedeva probabilmente al settore
della punta estrema del promontorio. La parte mediana del complesso, pur lacunosa,
sembra incentrata su un cortile dal quale si sviluppava un ambulacro che costituiva l’asse del terzo nucleo. Si tratta di un lungo corridoio sul quale affacciano una serie di ambienti: sul lato ovest, si dispongono vani più grandi con pavimenti a mosaico di tessere bianche; sul lato est sono presenti ambienti più piccoli,
disposti in due serie di quattro ai due lati di una grande aula rettangolare.
Lo spazio tra questo edificio e il margine ovest del promontorio era completamente edificato, ma le poche tracce visibili e le strutture note dagli appunti d’archivio non permettono di ricostruirne l’articolazione. Sappiamo che qui doveva localizzarsi un altro impianto riscaldato, di cui faceva parte l’aula a pianta circolare
disegnata dal Lanciani e dal Gatti. Ancora tutto da studiare è il groviglio di
strutture poste all’estremità dell’Arco Muto, di cui facevano parte le arcuazioni che hanno ispirato il nome del promontorio, isolate nel mare e crollate “solo” nel 1965. Da questo punto e per tutto il tratto di costa fino al cosiddetto semaforo sono ancora visibili i resti delle sostruzioni fondate sulla battigia che avvolgevano il lato ovest del promontorio, ribadendo, anche su questo versante la volontà di conferire al complesso il carattere di un vero e proprio palazzo sull’acqua.